Frank Epperson e l’invenzione del ghiacciolo

Durante una notte d’inverno del 1905, un ragazzo americano di undici anni fu protagonista di un’invenzione fortuita che avrebbe creato dal nulla un intero settore gastronomico e refrigerato le estati di milioni di persone in tutto il mondo.

 

Ingegno e fortuna

La storia dell’umanità è ricca di scoperte accidentali che hanno rivoluzionato il corso della civiltà, dando spesso una svolta significativa ad anni di duro lavoro. Naturalmente, non tutte hanno avuto l’impatto che ebbe Alexander Fleming quando, a partire dalle muffe cresciute spontaneamente in una delle sue piastre di Petri, sviluppò il primo antibiotico al mondo, la penicillina. E non tutte hanno conosciuto la diffusione di alcune tecnologie nate grossomodo per caso, come i raggi x, il teflon o il forno a microonde. Anche nell’ambito della gastronomia, però, esistono invenzioni attribuibili a semplici coincidenze. È il caso del gorgonzola, che in base alla leggenda nacque quando un pastore dimenticò del formaggio in una grotta le cui condizioni ambientali ne modificarono le proprietà organolettiche. Qualcosa di simile accadde anche nella città californiana di Oakland 120 anni fa, quando l’undicenne Frank Epperson, secondo quanto da lui stesso riportato anni dopo, produsse senza volerlo il primo ghiacciolo.

 

Dalla bevanda al “ghiaccio su bastoncino”

Tutto iniziò grazie ad un bicchiere d’acqua e a del bicarbonato di sodio al limone, che Frank era solito mescolare utilizzando un bastoncino di legno. Una sera, andando a dormire, il ragazzo dimenticò il bicchiere sul davanzale della propria stanza, lasciandolo esposto alle temperature insolitamente fredde di quella notte. Al suo risveglio, scoprì che il liquido si era congelato attorno al bastoncino, andando a creare un blocco di ghiaccio che poteva essere agevolmente mangiato.

In realtà la storia del gelato racconta di esperimenti con ghiaccio e neve svolti in tempi molto più remoti, e di popolazioni come cinesi, persiani e romani presso le quali erano comuni dei veri ghiaccioli e sorbetti ante litteram. La scoperta di Frank ebbe però il merito di dare il via all’età dell’oro dei ghiaccioli moderni. Quasi vent’anni dopo quella fredda notte, ormai padre di famiglia, Frank decise di testare la sua invenzione offrendo ghiaccioli durante un ballo dei pompieri. Incoraggiato dal riscontro entusiastico di quel pubblico iniziale, brevettò l’idea con il proposito di avviare una commercializzazione su vasta scala. Il prodotto fu presentato come “un dolce ghiacciato dall’aspetto invitante, che può essere consumato comodamente senza contaminazione da contatto con le mani e senza bisogno di piatto, cucchiaio, forchetta o altro strumento”. La registrazione del brevetto indicava perfino quale fosse il legno ideale per il bastoncino: tiglio, betulla o pioppo.

Frank inaugurò così la sua impresa. Nel corso degli anni successivi affrontò non poche traversie, dalla concorrenza di chi come lui aveva intuito le potenzialità del prodotto fino al crollo di Wall Street del 1929, che lo costrinse a vendere i diritti del suo marchio. La nascita di un fenomeno globale, tuttavia, aveva avuto luogo.

 

Il successo planetario

La fama del ghiacciolo crebbe rapidamente. Era economico, semplice da produrre e perfetto per le calde giornate estive. La sua popolarità esplose negli anni Trenta, quando in piena crisi economica divenne una delle rare gioie accessibili a tutte le classi sociali.

Lo sbarco in Italia avvenne nell’Emilia Romagna del secondo dopoguerra, aiutato dalla fiorente rivoluzione industriale del cibo. Fu battezzato in vari modi dalle aziende produttrici (alcuni dei marchi più noti erano Bif e Cof, entrambi acronimi dei nomi dei vari titolari), prima di essere universalmente indicato col generico nome di “ghiacciolo”.

Gli ultimi cinquant’anni hanno visto le ricette originali declinate nelle forme e nei gusti più vari. La tendenza più recente prevede un ritorno ai ghiaccioli artigianali e un’attenzione crescente all’utilizzo di ingredienti naturali, con meno zuccheri e senza conservanti. E se in quanto a disponibilità di gusti la produzione commerciale è vincolata a scelte dettate dal mercato, così non è per quella casalinga, il cui unico limite è la fantasia. Nel pieno spirito di un’invenzione di cui forse non avremmo sentito parlare senza la fortunata intuizione del giovane Frank.

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I quartieri di Firenze: San Frediano

Nel cuore dell’Oltrarno fiorentino, sul lato opposto del fiume rispetto al centro storico, si trova uno dei quartieri più autentici di Firenze. Lontano dai percorsi turistici più battuti, custodisce ancora oggi l’essenza artigiana e popolare della città, in equilibrio tra tradizione e contemporaneità.

 

Il quartiere più cool di Firenze

PapaPiper, CC BY-ND 2.0 via Flickr

San Frediano è spesso citato come uno dei quartieri di maggior tendenza in Europa, etichetta che per molti residenti suona come una minaccia. Il pericolo di gentrificazione è reale, ma finora contenuto da una solida rete di relazioni locali e da una ferma opposizione al consumo distratto della città. Abbracciando con orgoglio un ideale di resistenza nei confronti del crescente problema dell’overtourism, particolarmente dibattuto nelle ultime settimane, le anguste vie della zona sembrano testimoniare che qui non si viene solo per scattare fotografie: ci si viene per capire cosa significa davvero vivere Firenze. Come accade anche nel rione di San Lorenzo, di cui abbiamo parlato in questo articolo, il sentimento di identità locale di coloro che qui ci vivono è ancora molto forte.

 

Vita quotidiana e artigianato

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Il quartiere prende il nome dalla chiesa di San Frediano in Cestello, edificio barocco che domina la piazza omonima con la sua cupola ben riconoscibile anche da lontano. Ma è camminando lungo il suo asse principale, Borgo San Frediano, che si coglie il vero spirito della zona, immortalata dallo scrittore Vasco Pratolini in uno dei suoi romanzi più celebri.

Quanto resta delle botteghe dei restauratori, delle piccole officine, dei forni storici e dei laboratori di ceramica si dipana tra le vie come una serie di frammenti di una mappa urbana che richiama arti e mestieri passati. Alle realtà manufatturiere più antiche si affiancano oggi alcuni spazi riconvertiti in atelier contemporanei, che cercano nel rinnovamento l’opportunità per una riconciliazione tra passato e futuro.

 

La vita notturna

Negli ultimi anni San Frediano ha visto anche nascere una nuova generazione di locali: cocktail bar curati nei dettagli, bistrot che rivisitano la cucina toscana, enoteche con selezioni indipendenti. Tuttavia, il quartiere ha resistito alla trappola della trasformazione in “cartolina” per visitatori frettolosi. I ritmi restano quelli del vicinato, la convivialità si mescola con la routine dei residenti, e il turismo, pur presente, non ha ancora stravolto il tessuto sociale del quartiere.

 

Il fascino dell’Oltrarno

Del resto, la principale attrattiva di questa parte della Firenze “di là d’Arno”, come gli abitanti chiamano l’area sulla sponda sinistra del fiume, risiede proprio nella sua genuinità. Insieme al confinante rione di Santo Spirito, San Frediano offre ai visitatori consapevoli una combinazione seducente di esplorazione turistica ed offerta enogastronomica. Dopo aver vagato con piacere nel dedalo di vicoli tra le due basiliche di Santa Maria del Carmine e di Santo Spirito, i moderni pellegrini trovano ristoro nei numerosi locali che animano gli angoli principali. È l’occasione per assaporare ancora qualche attimo di tranquillità, prima di calcare nuovamente le più frequentate strade attorno a Palazzo Pitti e di riaffacciarsi su Ponte Vecchio.

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Una compilation di Ferragosto

L’avvicinarsi del giorno-simbolo dell’estate italiana indirizza gli animi di tutti verso un’aura di svago e leggerezza, a prescindere dal fatto che si trascorra questo periodo nella tanto agognata vacanza o che, per necessità o scelta, si rimanga in città. Ecco allora una selezione in ordine sparso delle attività più emblematiche di questo 15 agosto, con tanti suggerimenti per vivere al meglio il cuore della bella stagione. Non una vera classifica dunque, ma piuttosto una raccolta di spunti per un Ferragosto al riparo dalla noia, da accompagnare magari con il gusto di gelato più rinfrescante dell’estate, un complemento ideale per qualsiasi avventura.

 

Tutti al mare?

Impossibile non partire da qui. Durante il picco della stagione le città si svuotano e i litorali diventano temporanee metropoli fatte di sabbia, risate e file al bar in attesa di assaporare una crema di caffè ghiacciata. Vero è che i numeri dell’affluenza di quest’anno sono quelli di una crisi che colpisce tutto il settore balneare toscano, con prezzi in aumento e un drastico calo dei turisti italiani. Per i fiorentini che invece convergeranno verso i lidi della regione, le destinazioni sono quelle classiche. La più gettonata è la Versilia, con le spiagge sabbiose e la vita notturna di Viareggio e Forte dei Marmi, mentre chi predilige le meraviglie naturali farà rotta verso la costa dell’Argentario.

 

Gite fuori porta

Il 15 agosto è anche l’occasione per una breve fuga dai panorami quotidiani. Montagne, laghi, parchi naturali e paesi medievali poco battuti dalle masse regalano l’opportunità di vivere una giornata di relax lontano dalla confusione. I dintorni di Firenze sono l’ideale anche per un’escursione di poche ore, ad esempio alla volta di borghi come Fiesole e Vinci o delle numerose ville medicee che costellano la campagna toscana.

 

Ferragosto in città

C’è chi va e c’è chi resta. E Firenze si trasforma a seconda dei casi in una prigione bollente o in un’oasi di pace dai connotati surreali e suggestivi. Per alcuni è malinconica, per altri un piccolo lusso.

Molti dei musei più importanti sono visitabili anche il 15 agosto, in alcuni casi con aperture serali straordinarie come previsto per la Galleria dell’Accademia e il Museo delle Cappelle Medicee. Da non sottovalutare sono anche i parchi storici, in particolare il giardino di Boboli e il giardino Bardini, perfetti per fare una passeggiata e godere di un po’ d’ombra in attesa del tramonto.

 

I cinema all’aperto

Con l’abbassarsi del sole, infatti, piazze e giardini si trasformano. Le rassegne cinematografiche offrono un’esperienza sensoriale caratterizzata dal fresco rigenerante della sera, dal rumore dei grilli, da qualche schiamazzo lontano. E naturalmente dalla magia del grande schermo.

Sono diverse le location fiorentine con una programmazione che copre anche il periodo di agosto. Come il Cinema nel Chiostro dell’ex Convento di Sant’Orsola e il Cinema in Villa sulla terrazza di Villa Bardini, che propongono serate di grandi film in ambientazioni che vantano una personalità straordinaria. O come CineCascine, che alla proiezione gratuita di una serie di pellicole cult unisce la scenografia naturale del prato della Tinaia alle Cascine.

Infine, sono sempre attive anche le iniziative storiche del Cinema Chiardiluna e del Non solo Cinema alla Manifattura Tabacchi, così come quella del Cinema Sotto le Stelle al teatro romano di Fiesole. Le loro proposte animano anche la serata di Ferragosto, contribuendo a far sì che questa data resti un concentrato delle migliori sfumature dell’estate.

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Le stelle cadenti di San Lorenzo

Ogni anno in questo periodo il cielo estivo si esibisce in uno spettacolo che richiama una moltitudine di persone di tutte le età. Se storicamente la notte ad esso dedicata è quella del 10 agosto, è bene sapere che è possibile osservare il fenomeno nel corso di molti giorni, e che la serata migliore per apprezzarlo nella sua massima intensità non è necessariamente quella di San Lorenzo.

 

Miti religiosi e tradizioni pagane

A Firenze la sera del 10 agosto è consacrata ai festeggiamenti di San Lorenzo, che si tengono nell’omonimo rione e che attrae ogni anno una fetta importante della popolazione cittadina. Per chi vuole trascorrere questa ricorrenza lontano dalle masse, l’appuntamento con le stelle cadenti è un’alternativa decisamente allettante, ricca di poesia e di fascino senza tempo.

D’altronde le cosiddette “lacrime di San Lorenzo” richiamano da sempre gli sguardi di curiosi e appassionati. La sua attrattiva è ancora maggiore alla luce del mito secondo il quale questo evento astronomico ricordi il martirio del diacono romano, che morì sui tizzoni ardenti nel III secolo dopo Cristo durante la persecuzione sancita dall’imperatore Valeriano.

 

Meteore, non stelle

A dispetto del nome, le stelle cadenti consistono in piccoli frammenti di polvere e roccia che fanno parte di uno sciame prodotto dalla cometa Swift-Tuttle durante il suo passaggio vicino al Sole. Quando ogni anno la Terra attraversa la sua scia, questi detriti, che prendono il nome di Perseidi, entrano nell’atmosfera a velocità elevatissime e si incendiano per attrito, dando luogo allo spettacolo che tutti conosciamo.

L’attività è in realtà visibile già dagli ultimi giorni di luglio, ma il picco per il 2025 è previsto dopo la mezzanotte tra il 12 e il 13 agosto, specialmente tra le 2 e le 3 del mattino. Nelle aree con cielo limpido e assenza di inquinamento luminoso sarà possibile osservare anche cento meteore l’ora, sebbene la presenza della luna possa complicare quest’anno l’individuazione degli elementi meno brillanti. I bolidi che contraddistinguono questa stagione sono noti per assumere svariate tonalità, con sfumature spesso verdi e bluastre, e talvolta anche rosse, rosa, viola o gialle.

In ogni caso, per un’osservazione soddisfacente è fondamentale allontanarsi dalle luci artificiali. I luoghi ideali sono le aree rurali, le colline, le spiagge isolate e i parchi naturali, possibilmente con un’ampia porzione di cielo visibile. Il punto verso il quale prestare attenzione è quello della costellazione di Perseo, in direzione nord-est. Non sono necessari strumenti ottici: l’occhio nudo, con un po’ di pazienza, offre l’esperienza più gratificante. A patto comunque di arrivare sul luogo con una mezz’ora di anticipo, in modo da lasciar abituare gli occhi all’oscurità.

 

I migliori punti di osservazione a Firenze

La città offre svariati siti che si prestano a vari gradi di compromesso per i cacciatori di stelle che non vogliono sacrificare la comodità, permettendo così di soddisfare esigenze diverse. Ve ne suggeriamo alcuni, fermo restando che parte dell’avventura consiste nella scoperta di un personale punto strategico dal quale alzare gli occhi al cielo.

  • Piazzale Michelangelo. È il punto panoramico per eccellenza, con una vista aperta sulla città e un orizzonte abbastanza sgombro da consentire l’osservazione delle meteore. Tuttavia, l’illuminazione pubblica e la presenza costante di turisti lo rendono una scelta più estetica che funzionale. Meglio optare per una zona laterale, magari sul versante che guarda verso le colline a sud, dove le luci sono più tenui.
  • Fiesole. Un’opzione che presenta simili pro e contro è rappresentata da alcuni dei più suggestivi angoli di Fiesole. A cominciare dalla terrazza della chiesa di San Francesco, raggiungibile dalla salita a pochi metri dalla piazza principale.
  • Bellosguardo. Si tratta di uno dei siti panoramici più incantevoli di Firenze, situato su una collina che si trova a sud-ovest della città, lontano dalle luci e dalla confusione del centro. Tra le altre colline della zona, anche Trespiano e Settignano offrono analoghe possibilità.
  • I parchi cittadini. Infine, alcune delle aree verdi di Firenze sono ideali per una serata sotto le stelle, magari attrezzati con un’opportuna coperta. Nell’ambito del programma dell’Estate Fiorentina, all’Arena di Villa Vogel viene anche organizzato un evento all’insegna di musica e balli, che culmina con un’osservazione guidata del cielo realizzata in collaborazione con la Società Astronomica Fiorentina.
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Fiorentini illustri: Carlo Collodi

Pochi artisti sono così indissolubilmente legati ai personaggi a cui hanno dato vita quanto lo è Carlo Collodi al suo Pinocchio. Il successo mediatico del burattino più famoso del mondo relega quasi sempre ad una posizione di secondo piano la figura del suo creatore, la cui carriera riserva però spunti interessanti e più di una sorpresa.

 

Tra Firenze e Collodi

Carlo Lorenzini (questo era il vero nome dello scrittore) nacque nel 1826 in via Taddea, nel quartiere di San Lorenzo, a pochi passi di distanza dall’Antica Gelateria Fiorentina. Cresciuto in una famiglia di mezzi modesti, ricevette un’istruzione religiosa grazie al sostegno di un nobile mecenate. L’ingresso nel mondo delle lettere e del giornalismo gli permise di farsi notare per i suoi scritti, caratterizzati da un taglio satirico e patriottico.

L’esperienza come volontario nelle guerre d’indipendenza del 1848 e del 1859 resero le sue opere più disilluse, ma non gli impedì di interessarsi nei decenni successivi alla narrativa umoristica e per ragazzi. Il nome d’arte che adottò, e con il quale sarebbe stato ricordato, si riferisce al borgo toscano in cui trascorse parte dell’infanzia con il nonno materno, un periodo che influenzò profondamente la sua sensibilità.

 

Un personaggio dalle molte incarnazioni

La prima pubblicazione de Le avventure di Pinocchio sul Giornale per i bambini avvenne nel 1881. Il testo nasceva come una storia a puntate, interrotta bruscamente per volontà del suo autore con l’impiccagione del protagonista. L’insoddisfazione del pubblico per questa prima stesura spinse Collodi a modificare la trama e a mettere insieme un romanzo a tutti gli effetti. Nonostante sia stato spesso letto come un mero racconto morale per l’infanzia, sotto la sua superficie nasconde una critica sociale tagliente. Impulsivo e menzognero, desideroso di autonomia ma costantemente punito per le sue scelte, Pinocchio è un vero antieroe. Lo scrittore sembrava più interessato a rappresentare il conflitto tra educazione e libertà, tra ordine e desiderio, che ad offrire una lezione rassicurante.

Collodi non assistette mai alla fama del suo personaggio, fama che esplose solo nel Novecento grazie soprattutto al film d’animazione prodotto da Walt Disney nel 1940. Per quanto sia a questo film che si deve il successo universale della storia, tradotta in oltre 300 lingue e adattata in decine di versioni cinematografiche, la trasposizione edulcorò molti degli aspetti più cupi dell’originale, depotenziandone le tematiche.

 

Un fenomeno planetario

Le vicende di Pinocchio riflettono d’altronde le tensioni di un’Italia in trasformazione che fa i conti con il disincanto postunitario. Questo sentimento è andato comprensibilmente perduto nella successiva evoluzione del testo, che ha avuto nel corso negli anni un numero incalcolabile di adattamenti, sotto forma di film, fumetti, rappresentazioni teatrali e musical.

All’Antica Gelateria Fiorentina ricordiamo insieme il personaggio e il suo autore, nato a qualche metro dalla nostra porta, con il gusto Pinocchio. Lontano per natura dal ritratto del semplice scrittore per l’infanzia e più affine a quello del vero intellettuale risorgimentale, Carlo Collodi resta necessariamente associato alla fortuna della sua opera e al merito di aver concepito una delle figure più iconiche della cultura popolare di tutti i tempi.

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Breve storia del gelato

L’universo della gelateria artigianale è da sempre contraddistinto da piccole e grandi rivoluzioni che ambiscono a cambiare le regole del gioco. Dal punto di vista economico, il settore affronta oggi a testa alta le molte sfide legate all’incremento dei prezzi per le materie prime, con un riscontro di mercato che premia in tutto il mondo l’attenzione per temi come qualità e innovazione.

Ed è proprio l’innovazione a fare da fil rouge nella storia di un prodotto che si è mantenuto costantemente all’avanguardia del suo tempo, per interpretare in ogni epoca gusti e tendenze in continua evoluzione.

 

Radici antiche

Le prime testimonianze di dolci freddi risalgono a epoche lontane: già gli antichi cinesi, intorno al 2000 a.C., mescolavano neve con latte e riso per realizzare una sorta di primitivo sorbetto. In Persia, nel VI secolo a.C., si raffreddava con ghiaccio montano la frutta spremuta per ottenere dessert rinfrescanti. E anche i romani, sotto l’imperatore Nerone, facevano arrivare ghiaccio dagli Appennini per mescolarlo con miele e vino.

Il vero salto di qualità avvenne nel Medioevo, quando le conoscenze arabe in materia di conservazione del freddo si diffusero in Sicilia, crocevia di culture e rinnovamenti. Fu allora che prese piede un sorbetto più simile al corrispettivo moderno, a base di acqua, zucchero e succhi di frutta. Sembra che all’epoca a Palermo si coltivassero 400 tipi di fiori diversi per la sua aromatizzazione.

 

La nascita dell’arte gelatiera

Nel Cinquecento, la produzione del gelato fece un altro balzo in avanti con l’introduzione del latte e della panna nella ricetta. Si deve a Bernardo Buontalenti, artista e architetto alla corte dei Medici, l’invenzione di una crema fredda a base di latte, miele, tuorlo d’uovo e vino aromatizzato, refrigerata con una miscela di neve e sale. Da Firenze, la nuova moda si diffuse nelle corti europee, arrivando fino in Francia con Caterina de’ Medici.

Il Settecento e l’Ottocento segnarono l’inizio di una produzione più strutturata, per quanto ancora a livello perlopiù familiare e con tecniche manuali. Il siciliano Francesco Procopio dei Coltelli aprì a Parigi il celebre Café Procope, portando il gelato al centro della scena gastronomica francese. Nel frattempo, grazie alle prime macchine per mantecare, la lavorazione divenne più uniforme e il prodotto iniziò a somigliare al gelato che conosciamo oggi.

 

Tra industria e artigianato

Con l’arrivo dell’elettricità e degli odierni sistemi di refrigerazione, il gelato entrò in una nuova era. Negli anni Trenta del Novecento le aziende alimentari iniziarono a produrre su più ampia scala, con formule semplificate che introducevano l’uso di conservanti.

Di pari passo con la prima produzione industriale si diffusero in Italia numerose gelaterie artigianali, che si distinguevano per l’uso di ingredienti freschi, per la lavorazione quotidiana e per l’assenza di additivi.

Il mondo moderno porta il settore del gelato artigianale a fronteggiare sfide sempre nuove. Le gelaterie di qualità valorizzano materie prime locali e rivolgono un interesse crescente alla questione della sostenibilità, affidando ai maestri gelatieri il duplice ruolo di custodi della tradizione e di infaticabili sperimentatori.

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Gite fuori porta: le ville medicee

Rifugi estivi dei regnanti, oasi di svago e di riposo, depositari di un’estetica e di uno stile di vita caratteristici di una famiglia che ha fatto la storia di Firenze. Le ville e i giardini medicei sono stati custodi di segreti di stato e intrighi di palazzo, nonché testimoni della fioritura artistica del Rinascimento. Attraverso le loro ambientazioni piene di fascino, questi luoghi rivelano tuttora la vera essenza del territorio. Scopriamo insieme i 14 siti che l’UNESCO ha dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 2013.

 

Politica e distrazioni

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Le strutture di cui parliamo fanno parte di una serie di complessi architettonici acquisiti dalla famiglia Medici tra il XV ed il XVII secolo. Le più antiche erano legate principalmente al controllo dei fondi agricoli locali, ed erano fondamentali nella gestione delle attività economiche della zona. Tutte rappresentavano comunque una sede decentrata per l’amministrazione del governo. Contraddistinte spesso dal massimo grado di espressione dell’architettura barocca e rinascimentale in Toscana, queste dimore andarono a costituire una costellazione di ville e giardini che interessava un’ampia area della regione. Ogni componente della famiglia disponeva di una specifica tenuta che utilizzava come luogo di rappresentanza e di piacere, mentre il Granduca si spostava dall’una all’altra in base alla stagione e alle attività.

Alcune delle ville sono oggi proprietà private non visitabili, ma la maggior parte sono destinate a musei ed istituzioni, e utilizzate spesso come cornice di numerosi eventi.

 

Le regge in città

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Il primo sito è in realtà parte integrante della residenza primaria della famiglia Medici, Palazzo Pitti, ed è una delle destinazioni più apprezzate del centro storico. Si tratta infatti del giardino di Boboli, di cui abbiamo già parlato in un articolo sulle destinazioni museali più importanti di Firenze. A poca distanza si trova la villa di Poggio Imperiale, il cui carattere come centro artistico e culturale è stato fortemente influenzato dalle molte figure femminili che vi hanno vissuto.

Tre diverse regge arricchiscono la periferia settentrionale della città. In quella di Careggi nacque e morì Lorenzo il Magnifico, che vi era molto legato. Le altre due sono invece note per i loro giardini: quelli della Petraia sono disposti su tre livelli e godono di una bellissima vista, mentre i giardini della villa di Castello fanno da cornice d’eccezione alla struttura principale, sede dell’Accademia della Crusca.

 

I dintorni di Firenze

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

A pochi chilometri dal centro si trova la villa di Fiesole, che servì all’epoca da prototipo di residenza suburbana e costituì un vero ritrovo per artisti e letterati. Nel comune di Vaglia sorgeva invece la tenuta di Pratolino, il cui edificio principale fu abbattuto nel 1820 nell’ambito di un progetto di riqualificazione, e di cui oggi resta un enorme parco che ospita numerosi alberi secolari. Ha cambiato destinazione nel corso degli anni anche la villa di Cerreto Guidi, che è al momento sede di un museo dedicato alla caccia e al territorio.

Il Mugello, infine, ospita le due ville più antiche, quella del Trebbio e quella di Cafaggiolo. Si differenziano dalle altre per l’aspetto largamente fortificato, suggestivo della loro originaria funzione difensiva.

 

Tra Prato, Pistoia e Lucca

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

L’interesse dei Medici nel disporre di un sistema di regge decentrate è ben dimostrato dall’esistenza di svariati siti che si allontanano dalla capitale del Granducato.

In quella che è oggi la provincia di Prato sorgono la villa di Poggio a Caiano, che diventò un modello per l’architettura civile rinascimentale, e quella di Artimino, costruita da Bernardo Buontalenti e destinata alla caccia grazie all’ampio Barco reale che la affianca. Lo stesso Buontalenti si occupò della ristrutturazione di villa La Magia in provincia di Pistoia, progettata anch’essa per le attività venatorie.

È invece geograficamente più dislocata l’ultima reggia che rientra nel patrimonio Unesco. Il palazzo di Seravezza, in provincia di Lucca, fu voluto da Cosimo I per consolidare i confini di stato. La residenza risultò particolarmente utile durante le sue frequenti visite alle cave di marmo e alle miniere di argento, che erano collocate a breve distanza. Un’attestazione, anch’essa, del forte legame che le ville medicee hanno da sempre mantenuto con il territorio toscano.

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I musei di Firenze: le mete alternative

Terza puntata della nostra rassegna su alcuni dei musei più sorprendenti di Firenze. Nel primo articolo avevamo parlato di una delle destinazioni artistiche più ambite al mondo, la Galleria degli Uffizi, mentre il secondo appuntamento presentava i sistemi museali che non possono mancare nella scaletta di ogni turista, dall’Opera del Duomo alla Galleria dell’Accademia, da Palazzo Pitti al giardino di Boboli, dal museo di Leonardo da Vinci a quello di Galileo Galilei. Oggi ci concentriamo invece su alcuni degli allestimenti meno scontati, talvolta trascurati dai turisti a favore dei complessi di maggior richiamo. Si tratta di spazi espositivi che abbandonano il preponderante ambito delle belle arti per raccontare una storia altrettanto avvincente della città.

 

Gli altri musei della scienza

Lucarelli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Non solo Leonardo e Galileo. La storia di Firenze è stata spesso legata a scoperte, invenzioni e innovazioni che ben legittimano l’esistenza e il successo di queste due destinazioni di carattere scientifico.

Riaperta l’anno scorso dopo un lungo periodo di restauro, la Specola è sede del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, ed è l’erede della più antica installazione scientifica d’Europa ad essere aperta al pubblico. Fu istituita infatti nel 1775 come Reale Museo di Fisica e Storia Naturale, e conserva oggi due collezioni distinte. La sezione zoologica è costituita da una grande quantità di animali preservati tramite impagliatura, mentre quella anatomica custodisce una collezione unica al mondo di modelli in cera di figure umane straordinariamente verosimili, che risalgono perlopiù al Settecento.

È invece molto più recente il Museo delle Illusioni, dove scienza e arte si incontrano per offrire un’esperienza sbalorditiva. La sua mostra permanente mette alla prova la percezione della realtà attraverso installazioni immersive e interattive, che stimolano la curiosità e la creatività.

 

Il mondo dei treni in miniatura

David Brossard, CC BY-SA 2.0 via Flickr

Un museo che è in grado di risvegliare in adulti e bambini quel senso di meraviglia ispirato solo da un modello in scala. Con i suoi 280mq di superficie, il plastico ferroviario di HZERO è il più esteso d’Italia e conta oltre 70 treni che sfrecciano in contemporanea su quasi un chilometro di binari. I dettagliati scenari presenti, ricostruiti in 40 anni di lavoro, vanno dai panorami montani delle Dolomiti alla stazione centrale di Milano fino alle coste dell’isola d’Elba.

 

La moda a Firenze

Esther, CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons

L’industria del fashion ha una lunga tradizione in città. Si può anzi dire che l’alta moda in Italia sia nata proprio qui, con una sfilata organizzata a Villa Torrigiani nel 1951 dall’imprenditore Giovanni Battista Giorgini. Palazzo Pitti ospita anche il Museo della Moda e del Costume, che traccia nel dettaglio l’evoluzione che il settore ha visto nella sua storia. I musei che meglio rappresentano il rapporto delle maison con la città sono in ogni caso quelli dedicati a due tra i nomi più conosciuti del fashion internazionale.

Il primo è il Museo Salvatore Ferragamo, che documenta il lavoro del calzolaio e imprenditore nella Hollywood del cinema muto e la successiva fondazione a Firenze della sua casa di moda nel 1927. Tra i molti modelli esposti ci sono anche le calzature destinate a stelle come Marilyn Monroe, Greta Garbo e Audrey Hepburn.

Anche la Gucci Garden Galleria nasce con l’intento di ripercorrere la storia del noto marchio fiorentino. Ideata dal direttore creativo Alessandro Michele, l’area espositiva rende omaggio all’archivio Gucci attraverso le tecniche e i modelli che lo hanno reso celebre, tra oggetti vintage, lavorazioni artigianali e campagne pubblicitarie di grande impatto.

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San Giovanni e il calcio storico fiorentino

Il 24 giugno Firenze celebra il suo santo patrono, San Giovanni Battista, con un calendario sempre ricco di iniziative. In attesa dello spettacolo notturno dei fuochi d’artificio, uno degli eventi più sentiti di questo appuntamento è la finale del calcio storico, che si tiene come sempre in Piazza Santa Croce. 

 

Una giornata in festa 

Lorenzo Noccioli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

La mattina del 24 è solitamente dedicata ai riti legati alla tradizione religiosa. Un piccolo corteo consegna al sindaco la croce del santo, dopodiché il sindaco stesso si reca al battistero per offrire dei ceri al patrono. Segue una messa solenne nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.  

Nel pomeriggio hanno invece luogo i festeggiamenti laici, che culminano con la sfilata del corteo della Repubblica Fiorentina tra piazza Santa Maria Novella e piazza Santa Croce. È qui che, al termine della marcia, si disputa la partita di calcio storico tra le squadre finaliste del torneo. 

 

Tra sport e storia 

Lorenzo Noccioli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

A metà tra rievocazione folcloristica ed evento ad alto valore agonistico, il torneo si svolge in tre partite, due semifinali (che si sono giocate due settimane fa) e una finale. Le quattro squadre in gara rappresentano i quattro quartieri storici della città: i Bianchi di Santo Spirito, i Rossi di Santa Maria Novella, i Verdi di San Giovanni e gli Azzurri di Santa Croce. 

L’origine di questa pratica sportiva può essere fatta risalire ad un gioco romano chiamato harpastum, che era molto apprezzato tra i legionari e diffuso in varie zone dell’Impero. Fu però solo nel XV secolo che il gioco si affermò effettivamente tra i giovani fiorentini. I calcianti dell’epoca erano soprattutto nobili (tra i quali anche futuri papi) che vestivano delle sfarzose livree colorate. Richiedendo una maggiore organizzazione, le partite iniziarono ad essere giocate nelle piazze più importanti della città, specialmente durante il Carnevale. Ed è proprio ad una celebre partita disputata in questo periodo nel 1530 che si ispira la moderna rievocazione. Per quanto non risultino testimonianze che tra il XVIII e il XIX secolo la tradizione sia stata portata avanti, il calcio fiorentino ha saputo conservare il suo fascino nella memoria della città. Dopo duecento anni di parziale oblio, infatti, nel maggio del 1930 fu celebrata la partita che sancì la rinascita della manifestazione nell’era contemporanea, secondo il motto popolare che celebrava “lo spirito moderno del calcio antico”. 

 

Il torneo e la finale 

Silaip, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons

Le partite prevedono una contesa di 50 minuti, durante i quali i 27 giocatori di ogni squadra, abbigliati con indumenti d’epoca, si sfidano in un gioco che ricorda molto più il rugby che il calcio moderno.  

Le squadre hanno giocato le due semifinali sabato 14 e domenica 15, sulla base di un sorteggio effettuato il giorno di Pasqua nell’ambito dei festeggiamenti per lo scoppio del carro. Le due formazioni vincenti, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di San Giovanni , si sfideranno quindi oggi per la partita finale. In palio, come da tradizione, una mucca di razza chianina e soprattutto la soddisfazione di vedere i colori del proprio quartiere celebrati nell’evento folcloristico più atteso da ogni appassionato. 

E infine, a coronamento di una giornata di cerimonie e prodezze sportive, tutti in cerca dell’angolo migliore, magari in riva all’Arno, per ammirare lo spettacolo dei fuochi d’artificio. 

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La giornata internazionale della gastronomia sostenibile

Tra le molte tematiche che oggi interessano l’universo della gastronomia, la promessa di una produzione sostenibile è di particolare attualità. L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha disposto la creazione di questa ricorrenza nel 2016, dedicandole la giornata del 18 giugno di ogni anno. Il suo obiettivo è quello di incentivare un’idea di cucina che combatta attivamente lo spreco di risorse e preservi la salute dell’uomo e quella dell’ambiente.

 

Cucina e territorio

Nella definizione prevista dall’ONU, il termine gastronomia si riferisce all’arte di cucinare il cibo preservando e valorizzando gli stili caratteristici delle varie regioni del mondo. Un approccio sostenibile a tale disciplina deve tener conto di fattori come la provenienza degli ingredienti e le modalità con cui questi vengono trattati. Dalla gestione delle materie prime nell’agricoltura e nella pesca fino all’elaborazione di un determinato alimento che arriva sulle nostre tavole, è fondamentale che ogni componente in gioco possa essere conservato senza andare a discapito delle risorse naturali e del benessere di tutti noi. Solo in quest’ottica la gastronomia può essere contemplata come genuina espressione della diversità culturale del pianeta.

 

Le iniziative

Il proposito delle Nazioni Unite è quello di promuovere una consapevolezza pubblica sempre maggiore attraverso una serie di progetti organizzati da UNESCO e FAO. Come la Rete delle Città Creative, che riunisce i centri urbani che identificano nella creatività un elemento strategico per lo sviluppo. Agli eventi globali si affiancano le proposte locali, che mirano ad esempio a sostenere l’utilizzo di energia pulita nei ristoranti e incoraggiare i migliori modelli di sostenibilità nelle fiere di settore e nei canali televisivi dedicati al cibo.

 

La sostenibilità in gelateria

Il mondo del gelato artigianale è tutt’altro che estraneo alle posizioni virtuose fin qui delineate. Una delle tendenze di settore degli ultimi anni vede infatti una rinnovata attenzione per le questioni legate a salute ed ambiente. In mezzo a numerosi segnali contrastanti, che indicano un aumento dei consumi a dispetto di una crisi generalizzata, o la volontà di continuare a considerare il gelato come un “lusso accessibile” nonostante l’aumento dei prezzi nella catena produttiva, si conferma l’impegno di offrire un prodotto che abbia un occhio di riguardo per territorio e stagionalità.

Si tratta di una visione che si integra nella più ampia ambizione di una gastronomia effettivamente sostenibile nel presente e nel futuro. Un concetto che nel mondo odierno, segnato dai postumi della pandemia e da una crescente preoccupazione per cambiamenti climatici, inquinamento e disfacimento degli ambienti naturali, risulta essere ancora più importante.

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