Dalle borgate ai rioni: i quartieri storici di Firenze

Nel corso della sua lunga storia, la città di Firenze è stata oggetto di numerosi frazionamenti e raggruppamenti, necessari al buon governo della Repubblica. Il primo agglomerato romano aveva assorbito al suo interno intere borgate formatesi lungo le principali vie di comunicazione. Da qui iniziarono presto a definirsi delle vere sezioni amministrative che erano talvolta guidate dai propri capitani o gonfalonieri.

Ancora oggi gli attuali quartieri sono suddivisi in aree che comprendono talvolta solo una manciata di vie e piazze. Nonostante i molti cambiamenti occorsi nella seconda metà del Novecento, è tuttora possibile riscontrare nei vari rioni i tratti distintivi della loro identità.

 

I quartieri storici

Già dall’epoca romana la città fu più volte tagliata in quattro o sei ripartizioni, dettate dal progressivo allargamento della cerchia muraria. La rivoluzione maggiore arrivò tra il 1284 e il 1333, con la costruzione delle mura che avrebbero difeso Firenze per i cinque secoli successivi. I quartieri istituiti pochi anni più tardi, che costituiscono quello che è oggi considerato il centro storico della città, presero il loro nome dai principali luoghi di culto presenti sul loro territorio: San Giovanni nel quadrante nord-est, Santa Maria Novella a nord-ovest, , Santa Croce a sud-est e Santo Spirito a sud-ovest. In piazza della Repubblica la Colonna dell’Abbondanza, che contraddistingueva l’antico centro, segna il confine dei primi tre (resta escluso Santo Spirito che si trova oltrarno).

Dal 1930 ad ogni quartiere è associata una squadra che prende parte al torneo del calcio storico fiorentino. Sebbene nei duecento anni precedenti non fossero state organizzate le caratteristiche partite, negli anni la tradizione si è riaffermata ed è profondamente legata all’identità dei vari quartieri. Oggi è la manifestazione rievocativa più importante della città, tenuta in piazza Santa Croce in occasione degli annuali festeggiamenti di San Giovanni.

 

La vita nei rioni

Foto: FORTEPAN under Creative Commons CC-BY-SA-3.0 licence

I fiorentini cresciuti nel periodo del dopoguerra sono particolarmente legati al ricordo degli aspetti familiari che contraddistinguevano le strade della loro giovinezza. I rioni del perimetro cittadino somigliavano a tanti piccoli paesi, ognuno con una propria comunità dalla personalità definita. La vita rionale si sviluppava attorno a luoghi di aggregazione come parrocchie, case del popolo, campetti di calcio, botteghe e mercati.

 

Perdita e recupero dell’identità rionale

Tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, una serie di trasformazioni urbanistiche, sociali ed economiche iniziò ad erodere il carattere distintivo dei rioni. L’alluvione del 1966 fece da spartiacque ed inaugurò un’epoca di cambiamenti. Il boom edilizio e la motorizzazione di massa portarono i fiorentini fuori dal centro, modificando così la fisionomia e le dinamiche della città.

Oggi Firenze si estende su cinque quartieri, il primo dei quali comprende il centro storico. È indicativo che i quartieri periferici contino in larga misura una superficie e una popolazione superiori alla porzione di città racchiusa entro il perimetro originale. Anche i suoi abitanti, del resto, non somigliano molto ai genitori e ai nonni che un tempo facevano la spola tra la chiesa e il campo di calcio in bicicletta o in lambretta. Eppure, gli ultimi anni hanno visto rifiorire l’interesse nei confronti di una dimensione più umana della città. Un ritorno ad una visione della comunità come parte integrante del territorio, che vedrà forse un parziale riscatto della bottega sotto casa nei confronti dell’impersonale supermercato.

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La giornata mondiale dell’alimentazione

Il 16 ottobre 1945 fu fondata a Québec in Canada l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, o FAO. Ogni anno in questa data, la giornata mondiale dell’alimentazione ricorda la nascita di questo organismo e i suoi importanti obiettivi.

 

La necessità di una sensibilizzazione globale

La FAO fu istituita con il proposito di aumentare in tutto il mondo i livelli di nutrizione e di produttività agricola, di migliorare la vita delle popolazioni rurali e di contribuire alla crescita economica. In quest’ottica, la giornata dell’alimentazione si propone di coinvolgere l’opinione pubblica riguardo a tematiche come povertà, fame, malnutrizione e sicurezza alimentare. E ogni anno un diverso tema evidenzia quali sono le problematiche più critiche allo scopo di definire un approccio comune che permetta di affrontarle.

Nel 2023 l’attenzione si è concentrata sulle difficoltà che molte popolazioni affrontano nell’approvvigionamento di acqua e sulla necessità di una gestione oculata delle risorse idriche. La cerimonia di quest’anno verterà invece sul tema “Diritto al cibo per una vita e un futuro migliori”. L’evento prevede numerose iniziative e attività di sensibilizzazione in 150 Paesi per tutto il mese di ottobre.  Attraverso l’hashtag #GiornataMondialeAlimentazione è anche possibile partecipare in prima persona sui social network e seguire chef, sostenitori e influencer che prendono parte all’evento.

 

Chi è interessato da questi problemi?

Nelle parole della stessa FAO, “cibo” vuol dire diversità, nutrizione, disponibilità e sicurezza. Nei nostri campi, nei nostri mercati e sulla nostra tavola dovrebbe essere disponibile una maggiore varietà di alimenti nutrienti, affinché tutti possano trarne beneficio. Questo proposito assume un aspetto allarmante se confrontato con i 2,8 miliardi di persone che tutt’oggi non sono in grado di permettersi una corretta alimentazione. Un dramma che non riguarda solo le aree più povere del pianeta, visto che denutrizione, carenze di micronutrienti e obesità sono presenti anche nei Paesi più ricchi e trasversali rispetto alle classi socioeconomiche. Basta osservare i rapporti ISTAT per rilevare come anche in Italia, patria della dieta mediterranea, l’incidenza di obesità e sovrappeso assuma i caratteri di un’epidemia. Nel complesso, l’eccesso di peso riguarda quasi la metà della popolazione italiana, e bambini e adolescenti coprono oltre un quarto di questa cifra.

 

Che cosa si intende per corretta alimentazione

In estrema sintesi, può essere definita corretta un’alimentazione che permetta ad ognuno di noi di condurre una vita sana e attiva. Questo comprende l’adottare una dieta diversificata ed equilibrata nell’apporto energetico, che soddisfi il fabbisogno nutrizionale e limiti l’assunzione di sostanze nocive. Ancora più semplicemente, significa riuscire ad acquisire una consapevolezza sempre maggiore di quali siano i comportamenti che ci rendono consumatori attenti e responsabili.

 

Un obiettivo comune

In ultima analisi, la giornata mondiale di quest’anno evidenzia come sia necessaria una maggiore varietà di alimenti nutrienti, sicuri, sostenibili e a prezzi accessibili. Una chiamata all’azione che richiede il contributo di governi ed istituzioni, aziende private, agricoltori e singoli individui, e che beneficia della collaborazione di tutti.

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Le api e la salvaguardia della biodiversità

Le api svolgono un ruolo insostituibile e spesso sottovalutato nel mantenimento della salute del pianeta. Questi piccoli insetti sono in effetti i principali artefici della riproduzione di una vasta gamma di piante, incluse molte specie che costituiscono la base della nostra alimentazione. Proteggere le api è un aspetto fondamentale nella conservazione della biodiversità.

 

Il ruolo delle api nel nostro ecosistema

Le api ricoprono una posizione essenziale grazie alla loro funzione di impollinatori. Attraverso il trasferimento del polline da un fiore all’altro, esse facilitano la nascita di nuovi germogli e consentono la continua fioritura delle piante. Senza la loro attività incessante, molte specie vegetali smetterebbero di riprodursi, con conseguenze devastanti per la catena alimentare globale.

Negli ultimi anni, purtroppo, si è osservato un preoccupante declino nel numero di api. Tra i fattori che contribuiscono a questo effetto figurano l’azione invasiva dell’uomo, l’uso massiccio di pesticidi, l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici. È in quest’ottica che diventa indispensabile riuscire a scongiurare il rischio che nei prossimi anni questa specie possa estinguersi.

 

Dall’alveare alla tavola

Al di là del ruolo che le api occupano nell’equilibrio naturale, non va dimenticato che dalla loro attività derivano prodotti alimentari che da sempre sono apprezzati per il loro gusto e le loro proprietà. Come il polline e la propoli, alimenti ricchi di proteine, vitamine e minerali che vengono utilizzati come integratori per rafforzare il sistema immunitario. O la pappa reale, prodotta dalle api regine, anch’essa vero concentrato di nutrienti estremamente funzionali all’energia fisica e alla rigenerazione cellulare.

È però il miele il principale prodotto apistico che arriva sulle nostre tavole. Dolcificante naturale dalle proprietà antibatteriche e decongestionanti, è il frutto della trasformazione del nettare o della melata da parte delle api. Si tratta di un ingrediente particolarmente prezioso anche nel mondo della gelateria. All’Antica Gelateria Fiorentina realizziamo ad esempio un gelato soffice e delicato chiamato Ambrosia, nato da un esperimento di gioventù del nostro Maestro Gelatiere. Lo produciamo a partire da yogurt fresco intero, cannella e miele millefiori. Un motivo in più per dedicare alle api l’attenzione che meritano e dare il nostro apporto per la loro salvaguardia.

 

L’obiettivo di uno sviluppo sostenibile

Per proteggere le api e il nostro ecosistema è fondamentale adottare una serie di misure concrete. Innanzitutto, possiamo ridurre l’uso di pesticidi e sostituirli con alternative più ecologiche che non danneggino gli impollinatori. La promozione dell’agricoltura biologica e della biodiversità nelle coltivazioni è un altro passo importante, così come la creazione di spazi verdi nelle aree urbane.

La valorizzazione di un’apicoltura locale e rispettosa dell’ambiente, infine, è una delle migliori forme di sviluppo sostenibile. Supportare i prodotti apistici della propria zona è un modo per sostenere i piccoli apicoltori, che lavorano a stretto contatto con le api e si impegnano nella loro difesa. Per questo l’Antica Gelateria Fiorentina ha adottato due alveari. Il primo presso un’azienda a conduzione familiare presente sulle colline fiorentine e sul monte Amiata. Il secondo nell’ambito del progetto 3Bee, che utilizza tecnologie avanzate a tutela della biodiversità.

Si tratta di piccoli gesti che possono fare la differenza nell’importante proposito di instaurare un circolo virtuoso. Da una parte, la necessità di uno sviluppo produttivo che non può più permettersi di non essere sostenibile. Dall’altra, la salvaguardia di una varietà biologica e dell’intero ecosistema che da essa dipende.

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La Festa di Santa Reparata

Tra le molte ricorrenze che ogni anno rievocano le antiche tradizioni fiorentine, la festa di Santa Reparata fa riferimento ad uno specifico episodio storico. Nell’agosto dell’anno 406 gli Ostrogoti assediarono Firenze, minacciando di distruggerla in quella che prometteva di essere una battaglia senza speranza di salvezza. Secondo la leggenda, la città riuscì a resistere alla devastante invasione proprio grazie all’intercessione di Santa Reparata, patrona di Firenze insieme a San Giovanni.

 

Un intervento provvidenziale

Quando gli invasori Ostrogoti si affacciarono alle porte di Firenze, la città mantenne alte le speranze anche grazie al carisma del vescovo Zanobi, che aveva un grande ascendente sulla popolazione. Le costanti invocazioni a Santa Reparata sembrarono trovare risposta nel momento in cui, dopo giorni di assedio, giunsero in soccorso le truppe dell’esercito romano. Comandate dal condottiero Silicone, queste sconfissero gli Ostrogoti e permisero a Firenze di conservare la propria indipendenza e la propria identità. Sebbene la battaglia abbia avuto luogo il 23 agosto, i fiorentini scelsero di ricordarla l’8 ottobre, giorno dedicato al martirio della protettrice.

 

La prima cattedrale di Firenze

A seguito di questa storica vittoria, la città destinò al culto della santa la principale basilica della città. Si tratta dell’antica cattedrale sul cui sito fu poi eretta Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, a partire dal 1296.

Gli scavi archeologici avvenuti tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento permisero di ricostruire la pianta dell’edifico originale, che è oggi visitabile. La chiesa ospita i sepolcri dei papi Stefano IX e Niccolò II, di vari vescovi fiorentini e di figure di rilievo come Filippo Brunelleschi.

 

I festeggiamenti

I fiorentini hanno rispettato la ricorrenza dell’8 ottobre per molti secoli prima che questa cadesse nel dimenticatoio. Gli ultimi anni tuttavia hanno visto una riscoperta di questa festa, celebrata oggi con alcuni riti tradizionali. Generalmente il Corteo Storico sfila per le strade del centro per portare in omaggio a Santa Reparata una ghirlanda di mirto ed un cero. Segue una cerimonia serale, che proprio nella cripta dell’antica cattedrale rievoca l’importante ruolo che la protettrice di Firenze ha avuto nella storia culturale della città.

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Il gelato al cinema – Parte 2

Qualche tempo fa abbiamo pubblicato un articolo che proponeva alcune delle scene cinematografiche più celebri in cui i personaggi gustassero un gelato. Avevamo citato Mamma, ho perso l’aereo, Wonder Woman, Vacanze romane, Forrest Gump e Pulp Fiction. Su Facebook il vostro riscontro è stato entusiastico, e ci avete indicato vari film in cui gelati e milkshake sono presenti. Tra i titoli suggeriti figurano film molto diversi tra loro, come Grease, Distretto 13 – Le brigate della morte e Ponyo. Che il nostro amato dessert abbia un ruolo da veri protagonisti nella sequenza o che rappresentino solo un arricchimento allegorico, ci sembrava quindi giusto presentare una nuova raccolta di scene tratte dal piccolo e dal grande schermo. Buona visione.

 

La vita è meravigliosa (1946)

Partiamo da un classico della cinematografia, l’opera più acclamata del regista Frank Capra. Il giovane commesso George Bailey serve un gelato alla sua amica e futura sposa Mary. La ragazza chiede una coppa di cioccolato senza guarnizione di cocco. Questo è sufficiente a spingere George in un appassionato resoconto sulle esotiche origini del cocco, e soprattutto sul proprio progetto di diventare un grande esploratore. Gli imprevisti della vita gli insegneranno che spesso le cose non vanno secondo i piani, e che non sempre questo è un male.

 

Mamma, ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York (1992)

Non poteva mancare il seguito del film che apriva il primo articolo. Nuove vacanze di Natale, vecchi problemi. La famiglia McCallister è sempre alle prese con la scomparsa del piccolo Kevin, ancora una volta rimasto senza genitori. In questa occasione la location è il lussuoso hotel Plaza di Manhattan, con tanto di cameriere in livrea che serve il gelato. “Due cucchiai, signore?”, chiede questi. “Due?” risponde Kevin, “Faccia tre. Non devo guidare”.

 

Da grande (1987)

In mezzo a tante pellicole statunitensi ne presentiamo anche una italiana. Uscì appena sei mesi prima dell’americano Big (interpretato da Tom Hanks), di cui è considerato un accidentale precursore. Il giorno del suo ottavo compleanno, Marco esprime il desiderio di diventare adulto. Un incantesimo realizza il suo sogno. Renato Pozzetto, che interpreta il candido protagonista ormai cresciuto nel fisico, ordina un gelato crema-cioccolato-fragola-banana-limone-torrone-amaretto-malaga e panna. A chi non piacerebbe?

 

Che pasticcio, Bridget Jones (2004)

Nel secondo capitolo della saga sulla single più disperata d’Inghilterra, Renée Zellweger si aggira per casa con una coperta addosso e un barattolo di gelato Ben&Jerry. Afflitta da inesauribili pene d’amore, l’inconsolabile Bridget confessa: “Mi sto godendo una relazione con due uomini allo stesso tempo: uno si chiama Ben, l’altro Jerry”.

 

Friends (1994-2004)

Una divagazione dal grande al piccolo schermo per una delle sitcom più amate ancora oggi, che vede protagonisti sei amici di New York. Si tratta di una scena molto divertente della terza stagione della serie. Monica e Rachel offrono a Chandler un grosso barattolo di gelato a consolazione delle sue difficoltà relazionali. “Questo gelato fa schifo”, dice lui. “In effetti è una di quelle porcherie ipocaloriche alla soia” risponde Rachel, “Quello vero lo teniamo da parte soltanto per i casi terminali.”

 

Gelato o croissant?

Chiudiamo con una curiosità poco nota, per la precisione un gelato mancato nella celebre scena d’apertura del film Colazione da Tiffany. Fedele al romanzo di Truman Capote, la sceneggiatura prevedeva che il personaggio di Holly Golightly facesse colazione davanti alla vetrina della gioielleria newyorkese. Non amando le paste dolci, l’attrice Audrey Hepburn domandò che il croissant indicato nello script fosse sostituito con un cono gelato. Il regista Blake Edwards si oppose fermamente alla richiesta, e la scena fu girata come era stata originariamente pensata e come oggi la conosciamo.

Vi lasciamo con un invito dedicato a cinefili e appassionati dalla buona memoria. Ricordate altre sequenze cinematografiche o televisive che ruotano attorno ad un gelato? La sfida è lanciata.

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Il caffè: storia e storie di una bevanda miracolosa

Martedì primo ottobre si festeggia l’annuale giornata mondiale del caffè. È l’occasione per celebrare una bevanda che in tutto il mondo rappresenta per tantissime persone un rituale quotidiano dalle connotazioni quasi sacre.

Sostenuta dall’Organizzazione Internazionale del Caffè, la giornata fu lanciata nel 2015 nel corso dell’Esposizione Universale di Milano. Il tema centrale della manifestazione era “nutrire il pianeta, energia per la vita”. In linea con questa visione, la ricorrenza si propone tra le altre cose di promuovere un commercio equo e solidale, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà affrontate dai coltivatori.

 

Tra storia e leggenda

Le prime evidenze verosimili relative alla conoscenza e alla diffusione del caffè risalgono alla metà del XV secolo. Sembra che nell’attuale Yemen il processo di tostatura e preparazione dei chicchi fosse all’epoca già relativamente simile alla procedura utilizzata oggi. L’importazione in Europa due secoli più tardi suscitò immediatamente grande interesse; molti accolsero però la novità con sospetto, al punto da considerarla perfino pericolosa. Il medico e letterato toscano Francesco Redi, che considerava il vino l’unico nettare degno di riconoscimento, si espresse addirittura in questi termini:

 

«Beverei prima il veleno / Che un bicchier, che fosse pieno / Dell’amaro e reo caffè.»

 

Per fortuna dei posteri, il definitivo successo della bevanda era già stato decretato da papa Clemente VIII, che qualche anno prima l’aveva dichiarata deliziosa. Le caffetterie europee sarebbero presto diventate centri vitali di scambio intellettuale, attorno ai quali ruotavano artisti, filosofi e uomini d’affari.

La scoperta del caffè è però legata anche a numerose leggende che sono probabilmente solo frutto di fantasia. La più celebre riguarda un pastore etiope del IX secolo di nome Kaldi. Dopo aver notato che le sue capre diventavano molto vivaci dopo aver mangiato le bacche rosse di un particolare arbusto, un giorno decise di assaggiarle anche lui. Il loro effetto energizzante lo colpì a tal punto che decise di portare le bacche a un monaco di un vicino monastero. Non approvandone l’uso, questi le gettò nel fuoco e senza volere ne sprigionò così un aroma delizioso. I chicchi, ora arrostiti, furono rapidamente recuperati dalle braci, macinati e mescolati con acqua calda, dando vita alla prima tazza di caffè della storia.

 

Infinite incarnazioni

Dalla classica moka al moderno cold brew, ogni metodo di preparazione esalta diverse note aromatiche. La versatilità del caffè lo rende però protagonista di una varietà di applicazioni anche in ambito gastronomico, specialmente in pasticceria. Se il primo dolce a cui tutti pensano è il tiramisù, vale la pena ricordare le innumerevoli creazioni che è possibile realizzare a partire da questo ingrediente, come torte, semifreddi e bignè. All’Antica Gelateria Fiorentina lo proponiamo in due varianti tutte da gustare: un classico gelato e in forma di affogato.

 

Il ruolo del caffè in un’economia globale

Oggi l’amata bevanda riveste una posizione rilevante da un punto di vista macroeconomico. Le piante da cui deriva costituiscono la coltivazione più importante nei Paesi in via di sviluppo, in particolar modo in Africa orientale e Centro America. La naturale instabilità economica di questo mercato favorisce gli esportatori a discapito dei piccoli coltivatori, che a causa del loro persistente bisogno di liquidità non sono in grado di negoziare prezzi convenienti.

Anche per questo, l’adozione di un commercio equo e solidale è un tema molto dibattuto nell’universo del caffè. Per quanto le implicazioni economiche ed etiche di questo sistema siano variabili, privilegiare relazioni commerciali fondate sul dialogo, la trasparenza e il rispetto permette di garantire una maggiore equità degli scambi. Grazie a queste partnership, i produttori beneficiano di condizioni migliori ed hanno un ruolo attivo nell’ambito di uno sviluppo sostenibile. Le pratiche agricole adottate in quest’ottica rispettano tematiche di grande importanza, come ambiente, lavoro forzato e lavoro minorile.

Dal coltivatore al consumatore, la scelta di una filiera certificata contribuisce a tutelare il patrimonio economico, ambientale, umano e culturale dei Paesi interessati. Una presa di coscienza fondamentale per una bevanda così speciale, la cui storia passata e presente richiama un viaggio che attraversa secoli, continenti e civiltà.

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Il dialetto fiorentino e la nascita della lingua italiana

La storia della lingua italiana è profondamente legata al vernacolo parlato a Firenze durante il Medioevo. Il cosiddetto volgare fiorentino non era certo l’unico dialetto in Italia, dove le diverse regioni comunicavano attraverso varietà locali del latino, evolutesi in modi diversi nel corso dei secoli. Il fiorentino tuttavia ha avuto un ruolo centrale nella standardizzazione della lingua grazie a una serie di fattori storici, culturali e letterari.

 

Dal latino al volgare

Con la caduta dell’Impero Romano e l’inizio del Medioevo, il latino classico perse la sua omogeneità, evolvendosi in una serie di dialetti regionali. Questi dialetti si svilupparono in parallelo, riflettendo le specificità geografiche e sociali di ogni area.

La Firenze del XIII e XIV secolo era una delle città più prosperose e influenti d’Italia. Oltre a essere un centro economico e politico di primaria importanza, la città fioriva culturalmente grazie a intellettuali, poeti e scrittori. Questo ambiente favorì lo sviluppo di una produzione letteraria che, per la prima volta, trovò espressione non in latino, ma in volgare.

Tra i grandi protagonisti di questo movimento culturale emergono figure come Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Questi tre autori, noti come le “Tre Corone” della letteratura italiana, non solo resero il volgare fiorentino il veicolo di espressione delle loro opere, ma ne elevarono lo status.  Dimostrarono infatti che questa lingua, fino ad allora considerata meno nobile rispetto al latino, poteva essere un mezzo adatto per trattare temi elevati e universali.

 

L’idea di una lingua comune

Il contributo più significativo alla nascita dell’italiano moderno venne senza dubbio da Dante Alighieri, le cui opere sono considerate pietre miliari della letteratura mondiale. La lingua usata nella Divina commedia era un raffinato compromesso tra il parlato quotidiano fiorentino e un linguaggio più elevato. Dante scelse deliberatamente di abbandonare il latino per aprirsi ad un pubblico più ampio rispetto a quello erudito. La sua idea era di promuovere un volgare illustre, che potesse rappresentare la diversità linguistica dell’Italia e al tempo stesso unificare culturalmente il Paese.

 

L’Accademia della Crusca e l’Unità d’Italia

Con il tempo, il prestigio letterario del volgare si diffuse in tutta Italia. Nel Rinascimento, grazie anche alla diffusione della stampa e all’influenza dei grandi centri culturali come le Accademie, il fiorentino divenne il modello di riferimento per la lingua scritta. Nel XVI secolo nacque a Firenze anche l’Accademia della Crusca, che iniziò a codificare e preservare la purezza della nuova lingua, contribuendo ulteriormente al suo sviluppo. La consacrazione definitiva avvenne infine ad opera di Alessandro Manzoni, che per i Promessi Sposi la scelse come unica lingua in grado di rappresentare tutta la popolazione.

In ogni caso ci volle del tempo prima che questa varietà linguistica venisse adottata in tutte le regioni. Solo a partire dal XIX secolo, con l’Unità d’Italia e l’alfabetizzazione di massa, l’italiano iniziò di fatto ad essere realmente impiegato come lingua nazionale.

 

Un museo per la lingua italiana

Oggi il vernacolo fiorentino è un dialetto principalmente parlato, immediatamente riconoscibile soprattutto grazie alle caratteristiche consonanti aspirate e alle molte espressioni colorite. La sua straordinaria fioritura letteraria e l’influenza culturale della città vengono ricordati anche nel primo grande museo della lingua italiana. Il Museo nazionale dell’Italiano (MUNDI) è stato inaugurato due anni fa nell’ex monastero della Santissima Concezione, all’interno del complesso di Santa Maria Novella. Attualmente non è visitabile a causa dei lavori di completamento della struttura, ma la riapertura è prevista nel corso del 2024. Il museo affianca tecnologie multimediali ed interattive ad elementi espositivi tradizionali come manoscritti, libri e quadri, ripercorrendo così la storia della lingua italiana tra passato, presente e futuro.

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Overtourism a Firenze: le strategie per un turismo sostenibile

Firenze è da sempre una delle mete più ambite al mondo, sinonimo di storia, arte e cultura. La culla del Rinascimento attrae ogni anno svariati milioni di visitatori, impazienti di ammirare capolavori come il Duomo, gli Uffizi e il Ponte Vecchio. Il settore turistico genera un indotto di 5 miliardi di euro, pari al 12% del pil cittadino, e costituisce una risorsa cruciale per l’economia fiorentina. La città, del resto, risponde alla domanda con un numero imponente di hotel, bed and breakfast, ristoranti e altre strutture ricettive. Tuttavia, questo flusso massiccio non è privo di conseguenze.

Come accade per qualunque grande destinazione, un aspetto critico nell’industria dell’ospitalità riguarda il suo impatto in termini di sostenibilità. Le Nazioni Unite ne riconoscono l’importanza celebrando ogni 27 settembre la giornata mondiale del turismo. In occasione di questa ricorrenza parliamo di una tematica che tocca da vicino le città d’arte: il cosiddetto overtourism.

 

Di che cosa si tratta

Quando parliamo di overtourism non ci riferiamo soltanto all’insieme delle trasformazioni innescate dall’incremento dei flussi turistici in una determinata destinazione. Più propriamente, il sovraffollamento turistico riguarda invece le ripercussioni negative che questo produce sull’esperienza dei visitatori e sulla qualità della vita dei residenti. A pagarne le spese sono infatti al tempo stesso turisti e abitanti del luogo, e questi ultimi ne affrontano le conseguenze più evidenti. I servizi pubblici si sovraccaricano, gli affitti aumentano, le attività locali tradizionali lasciano spazio a negozi ad orientamento prettamente turistico.

Sempre più spesso le città che subiscono questo processo si trovano costretto ad applicare provvedimenti mirati ad un controllo dei flussi. È il caso di Venezia, che la scorsa primavera ha introdotto un contributo di accesso al centro storico. Ed è di pochi giorni fa la proposta di un ingresso a numero chiuso per la Fontana di Trevi, che potrebbe riguardare coloro che visitano Roma già dai prossimi mesi. Si tratta d’altra parte di disposizioni già viste in varie città europee, che sono peraltro teatro frequente di scenografiche proteste volte a sensibilizzare la popolazione sulle difficoltà legate al sovraffollamento turistico.

 

Il caso di Firenze

Dopo la battuta d’arresto causata dalla pandemia, anche nella patria di Dante gli ultimi anni hanno visto una decisa ripresa del turismo. La conseguenza più immediata è l’invasione di gruppi che soprattutto in alta stagione visitano la città senza avere il tempo di apprezzare ciò che vedono. Il centro storico si trasforma così in una sorta di parco a tema dove le attività tradizionali vengono rimpiazzate da bar, fast food e negozi di souvenir.

Nell’ambito della ristorazione, alcuni professionisti hanno evidenziato come questa crescita incontrollata comporti una riduzione degli standard qualitativi e una difficoltà nel preservare le eccellenze culinarie locali. In tal senso è emblematica la vicenda dello chef Simone Cipriani, che poco più di un mese fa ha chiuso il suo ristorante a San Frediano pur di mantenere l’integrità della sua idea di cucina. Un sentimento condiviso da molti ristoratori, che insieme agli inconvenienti dovuti agli alti costi di gestione affrontano una concorrenza costituita spesso da offerte di bassa qualità e incentrate esclusivamente su un approccio commerciale.

Del resto il fenomeno riguarda anche altri aspetti dell’ospitalità, a cominciare dal sempre crescente numero di appartamenti destinati alle locazioni turistiche brevi. Per arginare il progressivo spopolamento del centro, la giunta comunale ha annunciato nuovi provvedimenti volti alla salvaguardia dell’identità cittadina.

 

La scelta di un turismo responsabile

Affrontare l’overtourism non significa scoraggiare il turismo, ma piuttosto promuovere un’idea di viaggio più consapevole e sostenibile. Una soluzione efficace consiste nell’incentivare le visite fuori stagione e la scelta di attrazioni meno note e frequentate. Un approccio che passa anche dall’educazione del turista, e che specialmente nel caso delle città d’arte permette di valorizzare quartieri e destinazioni autentici.

In quest’ottica, a Firenze molti ristoratori hanno trasferito la loro attività fuori dalle mura. Si tratta di una decisione coraggiosa e spesso sofferta, indotta dalla volontà di non piegarsi alle logiche di mercato e di favorire invece un modello di business basato su responsabilità, tradizione e genuinità.

Per concludere, una proposta letteraria che offre una riflessione approfondita sul turismo di massa. Il romanzo Grand Hotel Europa, scritto da Ilja Leonard Pfeijffer, prende Venezia come riferimento emblematico, ma i molti spunti che presenta si applicano, e si applicheranno sempre più in futuro, anche alla città di Firenze.

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La festa della Rificolona

Ogni anno, la sera del 7 settembre, la città di Firenze si accende di una miriade di lanterne che attraversano vie e piazze in un clima vivace e spensierato. La festa della Rificolona rende omaggio ad una tradizione antica, ed è uno degli eventi più colorati della stagione.

Si tratta di un evento molto amato dai fiorentini ma di sicura attrattiva anche per i turisti.  Bambini e adulti sorreggono orgogliosamente le canne delle loro lanterne di carta, chiamate rificolone, e sfilano attraverso il centro storico. Costruite in varie forme e decorate con colori variopinti, questi lampioncini creano uno spettacolo di luci a cui si accompagnano giochi, musica e spettacoli. Il cuore dell’evento è la marcia che parte dalla piazza della Santissima Annunziata e si dirige al quartiere di San Frediano. Qui, tra i rulli dei tamburi, le lanterne vengono esposte in tutto il loro splendore in un’atmosfera magica e surreale.

 

La storia della Rificolona

Le origini della festa risalgono al folclore religioso e popolare della metà del Seicento, legata alla concomitanza con la celebrazione della Natività della Vergine Maria.

In passato, i contadini e gli abitanti dei paesi vicini si recavano a Firenze per partecipare alla messa nella Basilica della Santissima Annunziata. Con l’occasione portavano con sé numerosi prodotti agricoli da vendere al mercato che si svolgeva sulla piazza antistante la basilica. Per assicurarsi una buona posizione che garantisse loro buoni affari, giungevano in città la sera precedente, illuminandosi il cammino con lanterne di carta e candele. Passavano quindi la notte nei porticati della chiesa, dove inneggiavano alla Vergine fino a tarda ora. L’atmosfera di festa portava spesso i giovani fiorentini ad intraprendere con loro giochi e scherzi che spesso rasentavano l’insolenza. In particolare, sembra fosse consuetudine canzonare alcuni componenti del corteo riferendosi a loro come “rificolone”. Un termine, derivante forse dalla parola “fierucola“, che ha finito per essere attribuito proprio alle caratteristiche lanterne.

 

Rificolone e cerbottane

Le lanterne sono proprio la caratteristica distintiva della festa, un simbolo di tradizione e creatività. Realizzate in carta o tela, sono costruite in una varietà di forme. Si va dalle più classiche, come quelle sferiche o a forma di stella, fino ad elaborate sagome di barchette, pesci o personaggi fantastici. Sono comuni i laboratori creativi organizzati ogni anno dalle scuole o dalle associazioni locali. Per chi non vuole cimentarsi con la costruzione della propria lanterna è possibile acquistarne anche di già pronte. In ogni caso, è da mettere in conto che probabilmente la rificolona in questione non sopravviverà alla serata. L’usanza prevede infatti che si tenti di incendiare le lanterne attraverso precisi tiri di cerbottana.

 

La festa tra passato e presente

Oggi la festa ha luogo in molti quartieri della città e nei comuni della provincia. Della storica celebrazione sopravvive anche il mercato. Da quarant’anni, infatti, il primo fine settimana di settembre si tiene in Piazza Santissima Annunziata la Fierucola del Pane. Proprio come un tempo, le piccole aziende propongono prodotti agricoli biologici e artigianato manuale, permettendo agli abitanti di Firenze di riscoprire i sapori autentici della tradizione rurale.

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L’arte a Firenze: la Nascita di Venere

Nel cuore pulsante del Rinascimento italiano, la Firenze del XV secolo, vide la luce uno dei capolavori più celebri della storia dell’arte: la Nascita di Venere di Sandro Botticelli. Rappresentazione di un ideale di bellezza femminile senza tempo, viene spesso assunto come simbolo della città stessa e della sua cultura.

 

L’Opera

Dipinta attorno al 1484, la Nascita di Venere costituisce la celebrazione di un modello di equilibrio e di grazia caratteristico della mitologia classica. Per quanto siano presenti alcuni connotati stilistici tipici dell’artista, Botticelli utilizzò la tecnica della tempera su tela, una scelta insolita in un’epoca in cui si preferiva il legno. Questo conferisce al dipinto una leggerezza e una luminosità particolari, che concorrono alla sua impronta onirica.

La scena raffigura la dea Venere, appena nata, che emerge dalle acque del mare su una conchiglia. Sulla destra, le Ore, divinità delle stagioni, si preparano a coprirla con un manto ricamato di fiori. A sinistra, il dio del vento Zefiro soffia dolcemente insieme alla sua compagna Clori, spingendo Venere verso la riva. Ogni dettaglio partecipa all’emblematica armonia compositiva del dipinto: dai capelli dorati, mossi dalla brezza, alle pieghe del tessuto, fino ai fiori sospinti in aria attorno alla figura centrale.

Sul piano interpretativo, il dipinto può essere visto come un’allegoria dell’amore come forza motrice della natura. Fedele ai temi classici riportati in auge dal cosiddetto umanesimo neoplatonico, Botticelli si rifà alla mitologia greca. È però evidente anche un richiamo al concetto di anima cristiana, che nasce dalle acque purificatrici del battesimo.

 

Una bellezza senza pari

Molti storici identificano nella figura eterea di Venere una delle donne più belle della Firenze rinascimentale, Simonetta Cattaneo Vespucci. Sposata con un lontano cugino di Amerigo Vespucci, Simonetta era ammirata per la sua grazia disarmante. Vari artisti e poeti fiorentini ne celebrarono il fascino, al quale non fu immune perfino Lorenzo il Magnifico, patrono di Botticelli. È innegabile che lo stesso Botticelli ne fu profondamente colpito. Sebbene alcuni abbiano supposto che tra i due fosse nato un legame sentimentale, non ci sono prove al riguardo. Quel che è certo è che anche dopo la prematura scomparsa di Simonetta, avvenuta a 23 anni, il pittore abbia continuato a immortalare il suo volto in diverse opere. Tra queste figurano altre tre rappresentazioni della stessa Venere, minori rispetto al dipinto originale sia per dimensioni che per notorietà.

 

Sandro Botticelli agli Uffizi

La Nascita di Venere è esposta alle Gallerie degli Uffizi insieme agli altri capolavori di Botticelli, primo fra tutti la famosa Primavera. Le due opere condividono molte tematiche e qualità stilistiche, e sono tra le più rappresentative del museo. Stelle di prima grandezza, contribuiscono come poche alla straordinarietà del panorama artistico fiorentino.

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