4 novembre 1966: l’alluvione di Firenze

Il 4 novembre di cinquantotto anni fa, dopo dieci giorni di pioggia ininterrotta, il fiume Arno straripò dagli argini inondando il centro storico. L’alluvione di Firenze provocò molte vittime e danni incalcolabili in tutta la provincia. Ad essere colpito fu anche l’immenso patrimonio artistico della città, in soccorso del quale arrivarono da tutto il mondo i cosiddetti “angeli del fango“.

 

Una calamità inattesa

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Sebbene nella memoria dei fiorentini a restare impresse furono soprattutto le immagini del centro della città sommerso dall’acqua e dal fango, gli eventi alluvionali dell’autunno 1966 anni fa riguardarono l’intero bacino idrografico dell’Arno, e in misura minore anche altre zone d’Italia.

Gli ultimi giorni di ottobre e i primi di novembre furono segnati da intense precipitazioni, che aumentarono di intensità nella giornata del 3. In città nessuno si preoccupò molto. Abituati alle piene del fiume, comuni durante la stagione, i fiorentini non si resero conto della forza devastante che stava per colpirli.

 

L’inondazione

La mattina del 4 novembre un’onda di tre metri si riversò nelle vie travolgendo automobili, abitazioni e edifici storici. Se non fosse stato un venerdì di festa nazionale, il numero di persone sorprese in strada sarebbe stato molto più alto e così il conto delle vittime. L’acqua sommerse case, negozi e monumenti, isolando la città e determinando anche l’interruzione dei servizi telefonici ed elettrici.

In un’epoca che ancora non prevedeva un sistema nazionale che potesse rispondere efficacemente all’emergenza, i soccorsi furono tardivi e privi di un vero coordinamento. Quando l’Arno si ritirò, nel corso dei due giorni successivi, lasciò la città sotto 600mila tonnellate di fango.

Nel complesso, l’alluvione provocò 35 vittime nella provincia di Firenze; le famiglie alluvionate furono quasi 20mila, e 4mila quelle rimaste senza casa.

 

Gli angeli del fango

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Se ancora nel nostro Paese non esisteva una rete di soccorso organizzata, attivata solo alcuni anni più tardi, a mobilitarsi senza esitazione fu la gente comune. Accorsi da ogni parte d’Italia e da molti Paesi esteri, migliaia di volontari si misero al lavoro per salvaguardare il patrimonio culturale della città. Per quanto incruenti rispetto alle perdite umane, i danni provocati a monumenti e opere d’arte furono enormi. Nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale innumerevoli preziosi manoscritti ed opere a stampa furono coperti di fango. Lo stesso accadde nei depositi degli Uffizi, che ospitavano lavori di indiscusso valore. Nella Basilica di Santa Croce, il Crocifisso di Cimabue rimase danneggiato nella quasi totalità. Gli angeli del fango salvarono dalla devastazione le inestimabili testimonianze di secoli di arte e di storia. Costituirono uno dei primi esempi di mobilitazione giovanile spontanea, e restano oggi tra le immagini più significative della tragedia.

 

Conseguenze indelebili

Sailko, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons (adapted)

Le tracce fisiche della catastrofe rimasero impresse su moltissimi monumenti, edifici e chiese cittadine, e varie targhe ricordano il livello raggiunto dalla piena. Nel quartiere di Santa Croce, la targa di Via dei Neri segna il punto più alto toccato dall’acqua: 4 metri e 92 centimetri.

L’alluvione ebbe ripercussioni profonde anche sulla vita dei fiorentini, e molti tra coloro che persero case e attività si trasferirono altrove. I testimoni rievocano l’accaduto ancora oggi, a ricordo di un evento che cambiò radicalmente il volto di Firenze e la vita dei suoi abitanti.

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